Father and daughter.

Ti pensavo presenza costante e forte al mio fianco.
Quella mattina all’alba, erano le 6.
Non ho pensato alla tua assenza ma alla mia solitudine.
Credevo ci fossi e che fosse solo la mia pelle a sentire freddo.
Ti hanno accompagnato due fotografie e due rose rosse.
Avrei voluto sentire ancora i tuoi rimproveri e le tue rassicurazioni.
Alzo il telefono e credo di sentirti.
Maschero la mia forza dietro l’indifferenza e un sorriso spento.
E lì dove riposi io non riesco ancora ad entrarci.
Ti aspetto fuori. E tutte le mattina passando ti do il buongiorno.

La stanza vuota.

Ho smesso di pensare e mi sono accorta del silenzio della tua assenza.
Perché smettere di combattere significa farti ritornare, permetterti di varcare quella soglia.
E poi…poi non è più stato sole, né tempesta, né stelle e coralli.
Il silenzio di chi ti scorda accanto a se.
Mentre tu fai finta che niente ti vada stretto, mentre il tuo eco rimbomba nelle stanze vuote.
Ti lasci convincere che ciò che hai è ciò che meriti.
E sbagli…eccome se sbagli.

Il buio.

Se mi fermo un attimo lo schifo degli anni inizia a riversarsi dentro la mia testa. E non vedo inizio e fine ma solo grigio e torbido. Il sole sfugge tra le mie dita e la voce si fa sussurro. La corazza si crepa e filtra la pioggia. Arrugginisco dentro me come un automa dal cuore di corallo. Rosso. Freddo. Appuntito. Se ti avvicinassi capiresti eppoi non riusciresti più a farne a meno. Intanto io scavo nei ricordi per non vedere quel futuro che non sento più vivo e che scorre veloce, come una pellicola sfuocata. Dovresti riuscire a fermarmi. Potresti almeno provarci, senza far finta di non capire, di non sentire, di non sapere.
Prendo quel barattolo dove ieri c’erano le lucciole. Buio.